di TheMusicStalker
Ci sono menti illuminate che
se nella nostra storia non fossero esistite, sarebbe andato distrutto per gli occidentali quell’unico pilastro che fin qui impedisce (per quanto ancora?) che
tutto cada in un caos senza ritorno, un orribile nulla esistenziale. L’opera di
queste personalità di riferimento non è un semplice “fatto”, qualcosa che “è
stato” una volta per tutte; bensì un tema proposto all’immaginazione e alla
riflessione continuamente sin dalla sua creazione, e non smette per fortuna di
sollecitare nuove risposte e nuove domande. L’Arte non diventa (solo) “consolazione” ma simbolo di quel fermento
tragico che, più o meno in nuce, si
trova da sempre - e oggi ancora di più - negli uomini assennati: il sospetto
che tutti gli ideali della nostra esistenza siano inguaribilmente mutilati,
incompiuti, mentre la maggior parte di noi si illude di realizzarli solo effimeramente,
magari nella frenesia d’un momento d’ebbrezza che finisce necessariamente nella
disperazione, vale a dire nell’imbarco euforico su una nave imbandierata e
senza timoniere che anziché concretizzare sogni, scoperte, libertà, gonfia le
proprie vele lasciandosi portare nel non-so-dove dal vento inebriante della
vanità, verso naufragio certo.
Dall’istante in cui il mio
animo di bambino rimase colpito dalla Bellezza autentica, quella immune dalla
vana e volgare rappresentazione degli “io” in cera di disperate e
irraggiungibili identità, spesso in passato mi fermavo a riflettere su quella
beata concezione definita dai greci che chiama il mondo kosmos (ordine), rivelando che quella stessa concezione si ripete appunto
in un superiore ordine di cose, nel mondo degli ideali di cui sopra, come una
mirabile sapienza reggitrice che sappia annodare e riunire in “armonia” ciò che
è dello stesso “genere”; e lo tuteli dalla imperante odierna banalità eretta a status di massa, pretestuosa e arrogante,
che esige con gesti scomposti (quindi fuori dal kosmos) di annoverarsi senza saperne nulla in quel flusso vitale
dell’intuizione e della creazione artistica che è invece solo di pochi.
Perché per dirla in modo
spicciolo, Arte non è buttare giù schizofrenicamente dei colori a caso su un
foglio o una tela, giusto per fare un esempio. Quello rientra semmai nella malintesa categoria dell’“osceno”,
etimologicamente il fuori-scena, cioè non (rap)presentabile sulla scena.
Spinta da quella miope e
meschina inconsapevolezza dei poveri di spirito e di genio (il talento è altra
cosa e spesso non porta lontano), questa pornografica tendenza del “banale come
modello” ritiene il suddetto Ordine una semplice casualità, dunque s’illude di
potervisi inserire arbitrariamente.
Per essere “Artisti” oggi
basta citare e autocitarsi, proclamare e autoproclamarsi, autosponsorizzarsi,
autoincensarsi, autocommiserarsi. Infelice sollievo per chi brancola in verità nel
buio della mediocrità, incapace di distinguere il pieno dal vuoto, il Bello dal
volgare, l’Arte dalla (dis)simulazione di un “io” privo di spiritualità e
contenuti: in altre parole, il Bene dal Male.
Ci troviamo non a caso nel
disfacimento etico, quindi estetico, irreversibile. E non sappiamo come
uscirne.
A cosa attribuiamo questo
inarrestabile declino di “io” smarriti, nell’Arte come nella vita? La vita stessa
(che non si comprende, come l’Arte) cosa diventa se non improvvisazione,
sopravvivenza senza meta, come somma di momenti che si urtano senza alcun
senso? Una vita come il “momento”, che è somma di momenti così come una somma di
momenti non è altro che il momento stesso. Una non-vita senza progettualità.
Momenti fatti di effimeri e
seducenti “desideri” che però non godono del loro stesso appagamento perché
immediatamente hanno bisogno di trovare un nuovo oggetto/momento che stimoli un
rinnovato desiderio, e così all’infinito; confondendo fatalmente i frutti della
propria ebbra immaginazione con la realtà, la propria effimera “verità”
compulsiva con la poesia, lasciandosi trasportare nel vortice dell’inesauribile
Nulla.
Esistenze ispirate al sogno (irrealizzabile
innanzitutto per chi lo ostenta senza comprenderlo) di vivere “poeticamente”,
di continuo ritrattato però dagli impulsi disordinati che guidano le esperienze
e l’agire concreto, privi di una vera poetica (cioè scelta di vita, dichiarazione
etica) da cui derivano esistenze basate sul mero calcolo estemporaneo, che virano
le proprie scelte esistenziali all’ultimo istante perché corrotte e attratte dal
piacere compiacente e auto indulgente dell’esibizione individuale, della
prevaricazione, della assillante “vendita” e “sponsorizzazione” di sé a ogni
livello, dell’opportunismo improvvisato, con la costante consapevolezza di
voler esibirsi indossando maschere sempre diverse e multiformi di fronte alla
platea esanime del proprio “io” irrequieto e incapace di amarsi, cioè di
consolidare la propria dignità di esseri umani, prima che di potenziali Artisti.
Non si è Artisti
solo compiacendosi di definirsi tali.
Non è che una malattia,
in questo secolo di decadenza etica e spirituale della coscienza, al pari di
qualsiasi altra bulimia da eccesso di comunicazione e false verità; da sesso,
da web e social network, e dalla loro costante manipolazione delle masse.
Non è che morbo
dell’incoerenza e dell’incapacità di trovare sé stessi e la propria
collocazione nel mondo.
Il problema è epocale,
esistenziale, drammaticamente sociale, per questo non appena la realtà perde
ogni forza d’incitamento in quanto povera, spaventosa e dal futuro incerto, ci
si trova disarmati e soli. Non resta così che anestetizzare la propria vita emotiva secondo meccanismi ossessivi-compulsivi esattamente come nei casi
di alcoolismo, bulimia, dipendenza sessuale, innescando circoli viziosi che
evitino accuratamente di entrare in riflesso con le proprie sofferenze e
frustrazioni. Per non prenderne atto e dunque non mettersi in discussione.
Procrastinare,
sentirsi “impegnati” per non affrontare il vero nodo interiore da sciogliere
per decidere, in poche parole, di risolvere la vita.
Così come per la
dipendenza sessuale, il vero piacere e
l’appagamento programmatico dell’esistenza è assente, si tratta di una
libido falsata, cioè priva della sua componente erotica/estetica; si basa
invece su meccanismi di mera dipendenza e accettazione indiscriminata di ciò
che è inteso come “oggetto” sessuale, pornografico (il porno si instaura con la morte di Eros), attraverso un falso
rinnovato stupore quotidiano per la “novità”, che comporta una specie di trance inebetita in cui è
clamorosamente perduta la padronanza di sé e delle proprie reali potenzialità
di scelta e autodeterminazione. Con il tracollo dell’amor proprio e
dell’autostima.
Come per il sesso, l’individuo che si compiace
pubblicamente di essere eterna vittima dell’universo che lo circonda, è
costantemente ingannato dai suoi stessi intrighi, secondo i quali si serve a
ruota libera di chi si trova sulla propria strada, di solito casualmente e non
secondo libero arbitrio o scelta, per poi gettarlo via.
E cos’è se non il tormento
(spesso inconsapevole) della propria espiazione, a esercitare la più potente
punizione per questo delirio di onnipotenza del suo vuoto esistenziale? Il castigo
ha un carattere puramente estetico nella mancanza di riflesso allo specchio,
nell’inconsistenza della propria bellezza interiore; ma perfino il risveglio
della coscienza è un termine troppo etico, e lo si rifiuta decisamente in
quanto troppo pesante da sopportare. Da qui, la rabbia e la conflittualità nei
confronti dell’universo non possono che aggravarsi e degenerare.
La coscienza appare a tratti solo come una forma di conoscenza
“superiore” che si esterna come “inquietudine” sì, ma nemmeno si auto accusa né
è indulgente verso sé stessa, anzi paradossalmente mantiene desti e nessun
riposo concede alla propria sterile irrequietezza. Affinché non ci si fermi a
pensare al vuoto che si sta alimentando.
Si perpetua così il circolo
vizioso del volgare oblio di sé attraverso la continua pianificazione seriale
del proprio svilimento come esseri umani.
A questo proposito dice Zygmunt Bauman: “I social
media, come tutto il web, sono solo un mezzo. Snaturati nell’uso che ne
facciamo, essi costituiscono spesso una via di fuga dai problemi del nostro
mondo offline, una dimensione in cui ci rifugiamo per non affrontare le difficoltà
della vita reale […].
Insidia da cui discende tra l’altro una drammatica
“fragilizzazione” dei rapporti umani […] I blog, i siti di informazione online
sono ‘il ‘sostituto povero della celebrità’.”
Fragilizzazione dei rapporti
umani è termine chiave. Dov’è una potenziale strada della “salvezza” per
riprendere il controllo del libero arbitrio, manipolato, martoriato, frustrato,
e aiutarlo a riemergere dall’abisso dell’illusione del non poter rinunciare a
innumerevoli e infruttuose occasioni di “scambio” e “conoscenza”, casuali,
effimere, restando infine col vuoto di una drammatica solitudine irrisolta?
L’epoca
della comunicazione istantanea erode il tempo della vita privata, dalla quale
siamo spesso assenti.
Il tempo non
è più inteso come valore prezioso, infatti la migrazione della vita online, ad
esempio, non si traduce in un effettivo potenziamento, che è meramente
illusorio, anzi non si è nemmeno in grado di utilizzare quella presunta libertà
che esso potrebbe rappresentare.
Cambiano
irreversibilmente le relazioni umane, sentimentali, la vita stessa, e si
diventa più fragili poiché esposti ai venti della vanità “alternativa”. Essa
stessa ci convince di non poterne fare a meno, convincendoci così a rinunciare
a ciò che potrebbe rivelarsi importante per il nostro reale. Perché ci presenta
inevitabilmente continui aut aut, dei
quali non comprendiamo il valore e preferiamo la fuga dalla realtà alla
responsabilità di trovare una nostra collocazione nel mondo.
La mutata percezione del
tempo, profondamente diversa dal passato,
rende gli eventi della vita imprevisti e imprevedibili. Esistono solo eventi
istantanei, improvvisati, da consumare nell’immediato, che capitano inattesi
così come frenetiche diventano spesso le relazioni sentimentali.
Ebbri di quest’illusione, nel confondere il vuoto
esibizionismo auto-referenziale con la ricerca di una realizzazione personale (amare
o il ritenersi Artisti,“creatori” di qualcosa che nel web assume solitamente denominazioni
evocative quanto prive di significato - a questo scopo mutuate di solito
dall’inglese); nell’abusare continuo di
citazioni distorte da una bieca decontestualizzazione e ridotte a facili
aforismi adatti a ogni occasione purché se ne banalizzi e stupri il significato
originario; nell’erigersi a paladini della mediocrità col compiacimento
narcisistico dell’ammettere al pubblico ludibrio le proprie debolezze, i propri
stati d’animo senza pudore né cautela per sé e per chi ne è parimenti coinvolto;
e ancora nella ricerca di incessanti gratificazioni attraverso l’approvazione
di masse informi di sconosciuti che indiscriminatamente esercitano il “potere”
di nutrire un “io” disarmato, fragile, vacante, carente d’affetto e riconoscimenti
reali, soprattutto di fronte allo specchio e al vuoto della propria
insoddisfazione; infine, per fare
ancora un esempio, nell’esternare come in una rivista di vile pettegolezzo la
propria condizione “occupazionale” (non userei il termine “lavorativa”) e
persino quella privata del privato, cioè quella sentimentale che
necessariamente è incontrollabile, cangiante e effimera, squilibrata nelle
modalità e priva di autocritica perché è solo importante immolarsi come eterne
vittime di qualcosa o qualcuno, e allo stesso tempo affermare la propria –
inesistente – capacità di fronteggiare le sconfitte e le disavventure
attraverso frasi precostituite e senza significato… il tutto davanti a una
platea virtuale a volte attonita a volte falsamente solidale - per noia o
inettitudine o secondi fini - alla quale ci si illude di “interessare” e da cui
si auspica di essere incoraggiati e ammirati nonostante la bassezza delle
proprie esternazioni, nel cattivo gusto e nel misero infantile
autocompiacimento tra un litigio, un tradimento, una ostentata delusione (falsa)
per concatenazioni incessanti di innamoramenti folli quanto inconsistenti, trasbordanti
di parole infuocate, salvo poi durare una media di 8-10 giorni; ecco,
sono questi tutti elementi all’origine di quel ”maladattamento” e livellamento
verso l’infimo delle condizioni create da internet e dall’era digitale, che rendono
l’attenzione su di sé e verso gli altri fragile e incostante, alimentano
l’ansia di non dover perdere nemmeno un giro di quel vortice di luci colorate ma
avvilenti, annientano la progettualità degli interessi e la profondità dei
rapporti tra gli individui rendendoci inadatti al calore umano ma anche a riconquistare
il libero arbitrio delle nostre scelte e selezioni.
Nell’incapacità
narcisistico-ossessiva di evitare di connettersi a questo interregno dell’abuso
di sé con frequenza compulsiva, il “dialogo” disperato sul nulla continua incessante
tra centinaia di miserabili figurine le quali, cariche di Ego e accecate da inopportuna
auto-celebrazione, erodono irreversibilmente il tempo reale a propria
disposizione col solo scopo, in ognuno di quei precisi momenti e solo in quelli,
di non sentire fuori quel vuoto che le tormenta dentro.
Inerente a questo argomento
vedi anche:
http://www.donnamoderna.com/salute/Eros-psiche/dipendenza-sessuale-domande-risposte
http://www.donnamoderna.com/salute/Eros-psiche/dipendenza-sessuale-domande-risposte