Sunday, January 15, 2017

PPP Ultimo inventario prima di liquidazione | di Ricci/Forte



con Giuseppe Sartori, Anna Gualdo, Liliana Laera, Émilie Flamant, Elodie Colin, Cécile Basset
movimenti Francesco Manetti scene Francesco Ghisu costumi Gianluca Falaschi ambiente sonoro Andrea Cera direzione tecnica Alfredo Sebastiano regia Stefano Ricci assistente regia Ramona Genna
una produzione Ricci/Forte | CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia 


L’affresco di Ricci e Forte è un non finito michelangiolesco che mostra il suo disgusto di fronte a un tempo come il nostro, turbato e letargico, immaturo e sempre pronto a uno repentino cambio di direzione sotto l’influenza di un viscido apparente benessere che cela soltanto lo smarrimento cosmico di individui confusi e disumanizzati. Uno smascheramento della società, che rinchiude i suoi figli dentro una trappola attraente ma vuota di valori. Qual è il senso reale dell’entrare in contatto con gli altri, nel social network, attraverso il like, il cuore? 
Alla luce accecante del presente, preferisco ritornare giù, nella buia caverna del passato. Una caverna in verità bianchissima e luminosa, dove riconoscere meglio i nostri fantasmi.
'Ultimo inventario' è una critica alla società del consumo, un invito a investire il tempo che ci rimane in modo più proficuo.
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"La tragedia è che non ci sono più esseri umani. Ci sono strane macchine che sbattono violentemente le une contro le altre.
Resta coi piedi per terra, prima che sia troppo tardi."
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Chacun porte sa croix, moi je porte une plume.





















L’orizzonte è una linea d’acqua, il mare è la madre. Ritorno al ventre. L’azzurro si vede anche di notte, l’azzurro grida, l’azzurro ci scioglie nel sapore del giorno perduto. Quando sarò nel regno dei cieli, ricordami al padre tuo. La gente non tollera i poeti, li mastica, li sputa via. L’alba tornerà ad accendere un nuovo giorno. Prive di mastice però, le cose non restano insieme, così il mio spirito, pieno di luce, si ritrova inutilmente sbriciolato. La notte mi scalda, per un momento sembro anche io parte del creato, non più divinità ma spiga matura pronta alla mietitura. Ora sono mie le mani che stringono il volante, mia è la bocca aperta resa brulla dalle lacrime, mia la solitudine, il rimpianto, mentre le risate adulte mi consumano come fiammiferi strusciati sui cavalli di Frisia del cuore.




Quante lucciole ho visto nella mia adolescenza. Le ho invidiate, una per una, perché si amavano. Noi, virtuosi, saremo sempre e soltanto maschi infecondi, in artificiale vagabondaggio.




Pronti per l’estrema unzione restiamo, con le caviglie inverse; fissando, ostinati, il sole. Agli uomini interessa altro che vivere. La grazia miracolosa di chi non vuole sapere. Vedo gente che si cava gli occhi, che si tronca le dita per non sentire il morso tra le nocche, vedo spuma di sangue uscire da buchi dove prima albergavano nodi. Senza suoni si campa meglio. 

Il pianeta è una luna di sperma, bianca come la mia colpa. Non riesco a non sorridere. Ammaro come un astronauta russo tra i desideri umani. Novello Astolfo, mi sento indicibilmente lontano da tutto il sentire. Io, cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò più con passione operare, se so che la nostra storia è finita? 




Braccia legate al letto. A negare del desiderio di sedani e prezzemolo, per cancellare il rancore di aver investito sul cavallo sbagliato. Distruggi ogni gabbia di quella gabbia che è il passato.

La speranza inganna, le sconfitte aiutano solo a renderti più cortese, domestico.

Continuo a leccarmi i baffi, da bravo ruminante. Osservo le zampe porta fortuna illuminate dallo schermo di un telefono cellulare.

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