Sunday, January 15, 2017

FRAGILITÀ E NAUFRAGIO DELL’IO NELL’EPOCA DELLO SMARRIMENTO DI SÉ




di TheMusicStalker

Ci sono menti illuminate che se nella nostra storia non fossero esistite, sarebbe andato distrutto per gli occidentali quell’unico pilastro che fin qui impedisce (per quanto ancora?) che tutto cada in un caos senza ritorno, un orribile nulla esistenziale. L’opera di queste personalità di riferimento non è un semplice “fatto”, qualcosa che “è stato” una volta per tutte; bensì un tema proposto all’immaginazione e alla riflessione continuamente sin dalla sua creazione, e non smette per fortuna di sollecitare nuove risposte e nuove domande. L’Arte non diventa (solo) “consolazione” ma simbolo di quel fermento tragico che, più o meno in nuce, si trova da sempre - e oggi ancora di più - negli uomini assennati: il sospetto che tutti gli ideali della nostra esistenza siano inguaribilmente mutilati, incompiuti, mentre la maggior parte di noi si illude di realizzarli solo effimeramente, magari nella frenesia d’un momento d’ebbrezza che finisce necessariamente nella disperazione, vale a dire nell’imbarco euforico su una nave imbandierata e senza timoniere che anziché concretizzare sogni, scoperte, libertà, gonfia le proprie vele lasciandosi portare nel non-so-dove dal vento inebriante della vanità, verso naufragio certo.

Dall’istante in cui il mio animo di bambino rimase colpito dalla Bellezza autentica, quella immune dalla vana e volgare rappresentazione degli “io” in cera di disperate e irraggiungibili identità, spesso in passato mi fermavo a riflettere su quella beata concezione definita dai greci che chiama il mondo kosmos (ordine), rivelando che quella stessa concezione si ripete appunto in un superiore ordine di cose, nel mondo degli ideali di cui sopra, come una mirabile sapienza reggitrice che sappia annodare e riunire in “armonia” ciò che è dello stesso “genere”; e lo tuteli dalla imperante odierna banalità eretta a status di massa, pretestuosa e arrogante, che esige con gesti scomposti (quindi fuori dal kosmos) di annoverarsi senza saperne nulla in quel flusso vitale dell’intuizione e della creazione artistica che è invece solo di pochi.
Perché per dirla in modo spicciolo, Arte non è buttare giù schizofrenicamente dei colori a caso su un foglio o una tela, giusto per fare un esempio. Quello rientra semmai nella malintesa categoria dell’“osceno”, etimologicamente il fuori-scena, cioè non (rap)presentabile sulla scena.
Spinta da quella miope e meschina inconsapevolezza dei poveri di spirito e di genio (il talento è altra cosa e spesso non porta lontano), questa pornografica tendenza del “banale come modello” ritiene il suddetto Ordine una semplice casualità, dunque s’illude di potervisi inserire arbitrariamente.
Per essere “Artisti” oggi basta citare e autocitarsi, proclamare e autoproclamarsi, autosponsorizzarsi, autoincensarsi, autocommiserarsi. Infelice sollievo per chi brancola in verità nel buio della mediocrità, incapace di distinguere il pieno dal vuoto, il Bello dal volgare, l’Arte dalla (dis)simulazione di un “io” privo di spiritualità e contenuti: in altre parole, il Bene dal Male.
Ci troviamo non a caso nel disfacimento etico, quindi estetico, irreversibile. E non sappiamo come uscirne.

A cosa attribuiamo questo inarrestabile declino di “io” smarriti, nell’Arte come nella vita? La vita stessa (che non si comprende, come l’Arte) cosa diventa se non improvvisazione, sopravvivenza senza meta, come somma di momenti che si urtano senza alcun senso? Una vita come il “momento”, che è somma di momenti così come una somma di momenti non è altro che il momento stesso. Una non-vita senza progettualità.
Momenti fatti di effimeri e seducenti “desideri” che però non godono del loro stesso appagamento perché immediatamente hanno bisogno di trovare un nuovo oggetto/momento che stimoli un rinnovato desiderio, e così all’infinito; confondendo fatalmente i frutti della propria ebbra immaginazione con la realtà, la propria effimera “verità” compulsiva con la poesia, lasciandosi trasportare nel vortice dell’inesauribile Nulla.
Esistenze ispirate al sogno (irrealizzabile innanzitutto per chi lo ostenta senza comprenderlo) di vivere “poeticamente”, di continuo ritrattato però dagli impulsi disordinati che guidano le esperienze e l’agire concreto, privi di una vera poetica (cioè scelta di vita, dichiarazione etica) da cui derivano esistenze basate sul mero calcolo estemporaneo, che virano le proprie scelte esistenziali all’ultimo istante perché corrotte e attratte dal piacere compiacente e auto indulgente dell’esibizione individuale, della prevaricazione, della assillante “vendita” e “sponsorizzazione” di sé a ogni livello, dell’opportunismo improvvisato, con la costante consapevolezza di voler esibirsi indossando maschere sempre diverse e multiformi di fronte alla platea esanime del proprio “io” irrequieto e incapace di amarsi, cioè di consolidare la propria dignità di esseri umani, prima che di potenziali Artisti.

Non si è Artisti solo compiacendosi di definirsi tali.
Non è che una malattia, in questo secolo di decadenza etica e spirituale della coscienza, al pari di qualsiasi altra bulimia da eccesso di comunicazione e false verità; da sesso, da web e social network, e dalla loro costante manipolazione delle masse.
Non è che morbo dell’incoerenza e dell’incapacità di trovare sé stessi e la propria collocazione nel mondo.

Il problema è epocale, esistenziale, drammaticamente sociale, per questo non appena la realtà perde ogni forza d’incitamento in quanto povera, spaventosa e dal futuro incerto, ci si trova disarmati e soli. Non resta così che anestetizzare la propria vita emotiva secondo meccanismi ossessivi-compulsivi esattamente come nei casi di alcoolismo, bulimia, dipendenza sessuale, innescando circoli viziosi che evitino accuratamente di entrare in riflesso con le proprie sofferenze e frustrazioni. Per non prenderne atto e dunque non mettersi in discussione.
Procrastinare, sentirsi “impegnati” per non affrontare il vero nodo interiore da sciogliere per decidere, in poche parole, di risolvere la vita.
Così come per la dipendenza sessuale, il vero piacere e l’appagamento programmatico dell’esistenza è assente, si tratta di una libido falsata, cioè priva della sua componente erotica/estetica; si basa invece su meccanismi di mera dipendenza e accettazione indiscriminata di ciò che è inteso come “oggetto” sessuale, pornografico (il porno si instaura con la morte di Eros), attraverso un falso rinnovato stupore quotidiano per la “novità”, che comporta una specie di trance inebetita in cui è clamorosamente perduta la padronanza di sé e delle proprie reali potenzialità di scelta e autodeterminazione. Con il tracollo dell’amor proprio e dell’autostima.

Come per il sesso, l’individuo che si compiace pubblicamente di essere eterna vittima dell’universo che lo circonda, è costantemente ingannato dai suoi stessi intrighi, secondo i quali si serve a ruota libera di chi si trova sulla propria strada, di solito casualmente e non secondo libero arbitrio o scelta, per poi gettarlo via.
E cos’è se non il tormento (spesso inconsapevole) della propria espiazione, a esercitare la più potente punizione per questo delirio di onnipotenza del suo vuoto esistenziale? Il castigo ha un carattere puramente estetico nella mancanza di riflesso allo specchio, nell’inconsistenza della propria bellezza interiore; ma perfino il risveglio della coscienza è un termine troppo etico, e lo si rifiuta decisamente in quanto troppo pesante da sopportare. Da qui, la rabbia e la conflittualità nei confronti dell’universo non possono che aggravarsi e degenerare.

La coscienza appare a tratti solo come una forma di conoscenza “superiore” che si esterna come “inquietudine” sì, ma nemmeno si auto accusa né è indulgente verso sé stessa, anzi paradossalmente mantiene desti e nessun riposo concede alla propria sterile irrequietezza. Affinché non ci si fermi a pensare al vuoto che si sta alimentando.
Si perpetua così il circolo vizioso del volgare oblio di sé attraverso la continua pianificazione seriale del proprio svilimento come esseri umani.

A questo proposito dice Zygmunt Bauman: “I social media, come tutto il web, sono solo un mezzo. Snaturati nell’uso che ne facciamo, essi costituiscono spesso una via di fuga dai problemi del nostro mondo offline, una dimensione in cui ci rifugiamo per non affrontare le difficoltà della vita reale […].
Insidia da cui discende tra l’altro una drammatica “fragilizzazione” dei rapporti umani […] I blog, i siti di informazione online sono ‘il ‘sostituto povero della celebrità’.”

Fragilizzazione dei rapporti umani è termine chiave. Dov’è una potenziale strada della “salvezza” per riprendere il controllo del libero arbitrio, manipolato, martoriato, frustrato, e aiutarlo a riemergere dall’abisso dell’illusione del non poter rinunciare a innumerevoli e infruttuose occasioni di “scambio” e “conoscenza”, casuali, effimere, restando infine col vuoto di una drammatica solitudine irrisolta?

L’epoca della comunicazione istantanea erode il tempo della vita privata, dalla quale siamo spesso assenti.
Il tempo non è più inteso come valore prezioso, infatti la migrazione della vita online, ad esempio, non si traduce in un effettivo potenziamento, che è meramente illusorio, anzi non si è nemmeno in grado di utilizzare quella presunta libertà che esso potrebbe rappresentare.

Cambiano irreversibilmente le relazioni umane, sentimentali, la vita stessa, e si diventa più fragili poiché esposti ai venti della vanità “alternativa”. Essa stessa ci convince di non poterne fare a meno, convincendoci così a rinunciare a ciò che potrebbe rivelarsi importante per il nostro reale. Perché ci presenta inevitabilmente continui aut aut, dei quali non comprendiamo il valore e preferiamo la fuga dalla realtà alla responsabilità di trovare una nostra collocazione nel mondo.

La mutata percezione del tempo, profondamente diversa dal passato, rende gli eventi della vita imprevisti e imprevedibili. Esistono solo eventi istantanei, improvvisati, da consumare nell’immediato, che capitano inattesi così come frenetiche diventano spesso le relazioni sentimentali.
Ebbri di quest’illusione, nel confondere il vuoto esibizionismo auto-referenziale con la ricerca di una realizzazione personale (amare o il ritenersi Artisti,“creatori” di qualcosa che nel web assume solitamente denominazioni evocative quanto prive di significato - a questo scopo mutuate di solito dall’inglese); nell’abusare continuo di citazioni distorte da una bieca decontestualizzazione e ridotte a facili aforismi adatti a ogni occasione purché se ne banalizzi e stupri il significato originario; nell’erigersi a paladini della mediocrità col compiacimento narcisistico dell’ammettere al pubblico ludibrio le proprie debolezze, i propri stati d’animo senza pudore né cautela per sé e per chi ne è parimenti coinvolto; e ancora nella ricerca di incessanti gratificazioni attraverso l’approvazione di masse informi di sconosciuti che indiscriminatamente esercitano il “potere” di nutrire un “io” disarmato, fragile, vacante, carente d’affetto e riconoscimenti reali, soprattutto di fronte allo specchio e al vuoto della propria insoddisfazione; infine, per fare ancora un esempio, nell’esternare come in una rivista di vile pettegolezzo la propria condizione “occupazionale” (non userei il termine “lavorativa”) e persino quella privata del privato, cioè quella sentimentale che necessariamente è incontrollabile, cangiante e effimera, squilibrata nelle modalità e priva di autocritica perché è solo importante immolarsi come eterne vittime di qualcosa o qualcuno, e allo stesso tempo affermare la propria – inesistente – capacità di fronteggiare le sconfitte e le disavventure attraverso frasi precostituite e senza significato… il tutto davanti a una platea virtuale a volte attonita a volte falsamente solidale - per noia o inettitudine o secondi fini - alla quale ci si illude di “interessare” e da cui si auspica di essere incoraggiati e ammirati nonostante la bassezza delle proprie esternazioni, nel cattivo gusto e nel misero infantile autocompiacimento tra un litigio, un tradimento, una ostentata delusione (falsa) per concatenazioni incessanti di innamoramenti folli quanto inconsistenti, trasbordanti di parole infuocate, salvo poi durare una media di 8-10 giorni; ecco, sono questi tutti elementi all’origine di quel ”maladattamento” e livellamento verso l’infimo delle condizioni create da internet e dall’era digitale, che rendono l’attenzione su di sé e verso gli altri fragile e incostante, alimentano l’ansia di non dover perdere nemmeno un giro di quel vortice di luci colorate ma avvilenti, annientano la progettualità degli interessi e la profondità dei rapporti tra gli individui rendendoci inadatti al calore umano ma anche a riconquistare il libero arbitrio delle nostre scelte e selezioni.

Nell’incapacità narcisistico-ossessiva di evitare di connettersi a questo interregno dell’abuso di sé con frequenza compulsiva, il “dialogo” disperato sul nulla continua incessante tra centinaia di miserabili figurine le quali, cariche di Ego e accecate da inopportuna auto-celebrazione, erodono irreversibilmente il tempo reale a propria disposizione col solo scopo, in ognuno di quei precisi momenti e solo in quelli, di non sentire fuori quel vuoto che le tormenta dentro.


PPP Ultimo inventario prima di liquidazione | di Ricci/Forte



con Giuseppe Sartori, Anna Gualdo, Liliana Laera, Émilie Flamant, Elodie Colin, Cécile Basset
movimenti Francesco Manetti scene Francesco Ghisu costumi Gianluca Falaschi ambiente sonoro Andrea Cera direzione tecnica Alfredo Sebastiano regia Stefano Ricci assistente regia Ramona Genna
una produzione Ricci/Forte | CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia 


L’affresco di Ricci e Forte è un non finito michelangiolesco che mostra il suo disgusto di fronte a un tempo come il nostro, turbato e letargico, immaturo e sempre pronto a uno repentino cambio di direzione sotto l’influenza di un viscido apparente benessere che cela soltanto lo smarrimento cosmico di individui confusi e disumanizzati. Uno smascheramento della società, che rinchiude i suoi figli dentro una trappola attraente ma vuota di valori. Qual è il senso reale dell’entrare in contatto con gli altri, nel social network, attraverso il like, il cuore? 
Alla luce accecante del presente, preferisco ritornare giù, nella buia caverna del passato. Una caverna in verità bianchissima e luminosa, dove riconoscere meglio i nostri fantasmi.
'Ultimo inventario' è una critica alla società del consumo, un invito a investire il tempo che ci rimane in modo più proficuo.
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"La tragedia è che non ci sono più esseri umani. Ci sono strane macchine che sbattono violentemente le une contro le altre.
Resta coi piedi per terra, prima che sia troppo tardi."
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Chacun porte sa croix, moi je porte une plume.





















L’orizzonte è una linea d’acqua, il mare è la madre. Ritorno al ventre. L’azzurro si vede anche di notte, l’azzurro grida, l’azzurro ci scioglie nel sapore del giorno perduto. Quando sarò nel regno dei cieli, ricordami al padre tuo. La gente non tollera i poeti, li mastica, li sputa via. L’alba tornerà ad accendere un nuovo giorno. Prive di mastice però, le cose non restano insieme, così il mio spirito, pieno di luce, si ritrova inutilmente sbriciolato. La notte mi scalda, per un momento sembro anche io parte del creato, non più divinità ma spiga matura pronta alla mietitura. Ora sono mie le mani che stringono il volante, mia è la bocca aperta resa brulla dalle lacrime, mia la solitudine, il rimpianto, mentre le risate adulte mi consumano come fiammiferi strusciati sui cavalli di Frisia del cuore.




Quante lucciole ho visto nella mia adolescenza. Le ho invidiate, una per una, perché si amavano. Noi, virtuosi, saremo sempre e soltanto maschi infecondi, in artificiale vagabondaggio.




Pronti per l’estrema unzione restiamo, con le caviglie inverse; fissando, ostinati, il sole. Agli uomini interessa altro che vivere. La grazia miracolosa di chi non vuole sapere. Vedo gente che si cava gli occhi, che si tronca le dita per non sentire il morso tra le nocche, vedo spuma di sangue uscire da buchi dove prima albergavano nodi. Senza suoni si campa meglio. 

Il pianeta è una luna di sperma, bianca come la mia colpa. Non riesco a non sorridere. Ammaro come un astronauta russo tra i desideri umani. Novello Astolfo, mi sento indicibilmente lontano da tutto il sentire. Io, cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò più con passione operare, se so che la nostra storia è finita? 




Braccia legate al letto. A negare del desiderio di sedani e prezzemolo, per cancellare il rancore di aver investito sul cavallo sbagliato. Distruggi ogni gabbia di quella gabbia che è il passato.

La speranza inganna, le sconfitte aiutano solo a renderti più cortese, domestico.

Continuo a leccarmi i baffi, da bravo ruminante. Osservo le zampe porta fortuna illuminate dallo schermo di un telefono cellulare.

Friday, January 06, 2017


Navigo nel disconoscimento di me stesso. Dove non sono mai stato, là ho sempre vinto. 

Noi non siamo solo il prodotto di ciò che vediamo e ascoltiamo ma neppure di ciò che facciamo; poiché non esiste qualità nella natura umana che causi più errori di quella che ci spinge a scegliere e agire più in base alla labile circostanza che alla nostra intima essenza.
Quante forme può ancora assumere questo ingannevole canto delle sirene che rompe il silenzio della conoscenza erigendo un muro contro i pensieri, contro ciò che è difficile spiegare in mezzo allo strepito della mediocre rappresentazione sociale, della volgarità e dei violenti contrasti dietro i quali si celebra quotidianamente il funerale della dignità umana?
La verità resta nascosta ai più, eppure risiede nella semplicità metafisica di una favola, il suo riconoscimento è nel racconto del timore cosmico che ciascuno ha, di fronte alla propria piccolezza, per tutto ciò che è sconfinato e incomprensibile. 
Accogliere quella paura significa elevare l’errore a necessità, proprio perché noi non siamo i nostri errori, ma attraverso essi ci trasformiamo per diventare degni della parte migliore di noi. 
Slacciate da voi la vita e collocatela di sbieco come un vestito che stringe troppo; perché l’ancestrale verità sull’esistenza è nell’eterno passato e nell’eterno futuro delle nostre debolezze, nell’entità del turbamento che riusciremo a riconoscere e ospitare nel nostro animo.

Monday, May 30, 2016

Peter Brook - BATTLEFIELD


Il teatro epico e radicale di Peter Brook sublima nella sobria leggerezza di un gesto nudo, scarno, essenziale come l'ancestrale verità sull'esistenza umana, svelata con la semplicità metafisica di una favola. Brook è in un eterno passato e nell'eterno futuro, non c'è altro da dire o da fare, se non commuoversi contemplandolo.





Monday, April 11, 2016

Paolo Poli (23 maggio 1929 – 25 marzo 2016)

Poli-genialità e preveggenza...
Muore Paolo Poli: l'ennesimo (incolmabile) vuoto di troppo.
"[...] Basta con l'artigianato dei vivipari. E' cosa da lasciarsi alle scimmie, che sono poi quelle bestie che si trovano a loro agio sugli alberi genealogici. Il paleocapitalismo della riproduzione ormai sta per finire, no? Presto la riproduzione sarà tutta pianificata secondo la legge della domanda e dell'offerta. La stupenda capacità della nostra epoca di trasformare il nulla in qualche cosa, ha dato origine a un numero straordinario di grandi uomini, scienziati e tecnologi: saranno loro le vere mamme del futuro. Saranno burocrati della riproduzione, mamme di Stato. Non come i burocrati attuali. Certi uffici oggi somigliano ai cimiteri, su ogni porta si potrebbe scrivere "Qui riposa il Signor Tale". No, saranno molto più efficienti. Gli ovuli materni, opportunamente selezionati, verranno sottoposti a fecondazione in vitro e poi travasati in provette sempre più ampie, durante i nove mesi dell'incubatore. Si potranno condizionare i piccoli alle loro future funzioni. Per esempio, i lavoratori tropicali: si porteranno le provette in ambienti gelidi in modo che il bambino dopo la nascita proverà un vero ribrezzo per il freddo. Il procedimento contrario ci darà i lavoratori polari. 

Per graduare le intelligenze si graduerà l'erogazione dell'ossigeno stimolando così il cervello, che come tutti sanno è quell'organo col quale si pensa di pensare. Dove l'intelligenza può essere inutile oppure dannosa, come negli uomini politici, non si erogherà affatto. 
Non è lontano il giorno in cui da uno stesso ovulo si potrà procedere chimicamente alla germinazione progressiva, in modo da avere il germoglio del germoglio del germoglio del germoglio... Pensate, milioni di gemelli identici che lavorano a milioni di macchine identiche, pensando tutti allo stesso modo. Questa è la grande meta della tecnologia. 
Sì, sarà molto bello nel futuro: i padri si riuniranno nei loro club, le madri all'istituto di bellezza, e i bambini verranno affidati al mammismo di gruppo, all'ente come mamma. E così le nostre emozioni saranno tutte pianificate: saranno dignitose, collettive e corali." 

(1970, da "Una modesta proposta", di Jonathan Swift)


Saturday, April 02, 2016

Profezie e resa dei conti

Ad esempio: ogni tanto qualche folle le cose le dice per tempo, ma si sa, l'immaginazione di pazzi e poeti da forma a tali fantasie che la ragione non può [vuole] comprendere.
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P. P. P. - 1971

"Sana’a è una vera grande città medievale […] rimasta tutta intera esattamente come era molti secoli fa. Caso ormai forse unico al mondo. Non avendo subito mai nessuna contaminazione con nessun mondo diverso, e tanto meno con il mondo moderno, radicalmente diverso, la sua bellezza ha una forma di perfezione irreale, quasi eccessiva ed esaltante. […] La classe dirigente yemenita se ne vergogna, perché è povera e sporca, e certo ha ormai tacitamente deciso la sua distruzione. 
Ormai, del resto, la distruzione del mondo antico, ossia del mondo reale, è in atto dappertutto. L’irrealtà dilaga attraverso la speculazione edilizia del neocapitalismo. Al posto dell’Italia bella e umana, anche se povera, c’è ormai qualcosa di indefinibile che chiamare brutto è poco. […] Per l’Italia è finita, ma lo Yemen può essere ancora interamente salvato. La porta principale di Sana’a si apre sui luoghi dove fino a pochi mesi fa, isolate nella vallata desertica, sorgevano le sue stupende mura. Ci rivolgiamo all’UNESCO perché aiuti lo Yemen a salvarsi dalla sua distruzione, cominciata con la distruzione delle mura di Sana’a. Ci rivolgiamo all’UNESCO perché aiuti lo Yemen ad avere coscienza della sua identità e del paese prezioso che esso è. Ci rivolgiamo all’UNESCO perché contribuisca a fermare una miseranda speculazione in un paese dove nessuno la denuncia. Ci rivolgiamo all’UNIESCO perché trovi la possibilità di dare a questa nuova nazione la coscienza di essere un bene comune dell’umanità e di dover proteggersi per restarlo. Ci rivolgiamo all’UNESCO perché intervenga, finché è in tempo, a convincere una ancora ingenua classe dirigente che la sola ricchezza dello Yemen è la sua bellezza, e conservare tale bellezza significa oltretutto possedere una risorsa economica che non costa nulla; e che lo Yemen è in tempo a non commettere gli errori commessi dagli altri paesi. Ci rivolgiamo all’UNESCO in nome della vera, seppur ancora inespressa, volontà del popolo yemenita. In nome degli uomini semplici che la povertà ha mantenuto puri. In nome della grazia dei secoli oscuri. In nome della scandalosa forza rivoluzionaria del passato."



Monday, March 14, 2016

Ich bin der Welt abhanden gekommen

C'è frattura insanabile tra luce e buio, tra cosciente e subcosciente, tra l'essere col mondo e l'essere con la Natura, cioè con qualcosa che è ormai inconciliabile col mondo.



Saturday, February 20, 2016

Per U. E.

Tautogramma epitaffico epidittico con la P

Profondo, perspicace professore per pelagi parasemantici passionale perlustratore, piangiamo penosamente.
Pressoché patologico patibolo perpetuasi pestifero: periscono passo passo prodigiosi pensatori.
Perdio! Perché pessimamente presto?
Pungente progressista, paradisiaco pragmatico presocratico, persino portentoso parlatore; pur pochino protervo, però protagonista puntuale, prodigo paladino. Puff... passato prematuramente.
Perché? Peccaminosa, petulante, puttana perversa predestinazione?
Peccato, perdiamo progresso perdendo primati portentosi. Protesto prepotentemente!
Porca procreazione!


Thursday, February 04, 2016

La possibilità di un egoismo etico - Max Stirner

     

Osserviamo un po’ la causa dell’umanità che si vorrebbe facessimo nostra. E forse quella d’alcuno a essa estraneo; l’umanità serve forse a una causa superiore? No, l’umanità non vede che se stessa, essa non è ad altro intenta che a favorire se medesima, né ha, all’infuori della propria, causa alcuna. Nell’intento di svilupparsi, essa fa che popoli e individui si logorino e, allorquando questi hanno compiuto il loro ufficio, essa per tutta riconoscenza li getta nel letamaio della storia.
(Max Stirner)








Tuesday, December 28, 2010

Le interviste impossibili: Gustave Flaubert

Radio RAI: Le interviste impossibili
Fabio Carpi incontra Gustave Flaubert (Romolo Valli)


<<[...] comunque, sono tempi brutti i nostri, e che non lasciano sperare niente di buono nemmeno per il futuro. Democrazia, socialismo: ecco le parole all'ordine del giorno. [...] Ebbene, io dico che democrazia e socialismo sono la morte della cultura. Oggi si fanno libri per tutti, si vuole l'Arte per tutti, come si chiedono ferrovie e riscaldamento per tutti. Che orrore, questi "tutti". Che viaggino pure in treno e che si riscaldino, se ci tengono tanto. Ma che non pretendano poi di leggere un mio libro come si legge il giornale, che va appunto in mano a tutti. No, io non voglio piacere a tutti. Perché quel che c'è di meglio nell'Arte sfuggirà sempre alle nature mediocri, cioè ai tre quarti del genere umano. Piacere a tutti, che vergogna! Se questo è il prezzo della popolarità, essere ridotto al livello del giornale, grazie tante non ci tengo! Preferisco rinchiudermi in me stesso e continuare la mia opera a testa bassa, come una talpa.>>



Gustave Flaubert (Rouen, 12 dicembre 1821 – Croisset, 8 maggio 1880)

Wednesday, April 15, 2009

Draw the tear from hopeless love;
lengthen out the solemn air,
full of death and wild despair.


George Frideric Haendel (1685 - 1759)
da
Solomon HWV 67 (1748)



GABRIELI CONSORT & PLAYERS
Paul McCreesh


Date voce al tormento dell'amore senza speranza;
levate il canto solenne e accorato,
pieno di morte e selvaggia disperazione.

1.......................................2
...

1. Jacques-Louis David (1748 - 1825)
....Andromaca piange la perdita di Ettore

2. Giorgio De Chirico (1888 - 1978)
....Ettore e Andromaca

Saturday, April 11, 2009

Chi l’armonia del Ciel brama d’udire
Senza di vita uscire,
Oda del Monteverde il suono, e ’l canto,
Ch’è de l’alme un incanto,
E udendolo dirà da se diviso,
Quest’è un Musico ver del Paradiso:
Et se Cerbero latra è perch’ei scorge,
Cha da l’Inferno à le superne rote
Ponno tra l’alme le sue dolci note.
.............................Cherubino Ferrari, 1605

..........
.................1
....................
2.................................................3


1. Cremona
2. Bernardo Strozzi, Ritratto di Claudio Monteverdi (1640)
....Innsbruck, Landesmuseum Fernandeum
3. Claudio Monteverdi (Cremona 1567 - Venezia 1643)
....Frontespizio dei Fiori poetici, raccolta in onore del celebre compositore
....pubblicata a Venezia nel 1644 dopo la sua morte

Piagn'e sospira
a 5 voci, dal IV Libro di Madrigali (1603)



Piagn’ e sospira; e quand’ i caldi raggi
fuggon la greggia a la dolc’ombra assise:
ne la scorza de’ pini o pur de’ faggi
segnò l'amato nome in mille guise;
e de la sua fortuna i gravi oltraggi
e i vari casi in dura scorza incise;
e in rileggendo poi le proprie note
spargea di pianto le vermiglie gote.
.....................................Torquato Tasso

...

The Consort of Musicke - Anthony Rooley

Wednesday, April 08, 2009

Les frères Jacques - Barbara (J. Prévert / J. Kosma)

1.....................................2


1. Jacques Prévert (1900-1977)
2. Joseph Kosma (1905-1969)



Barbara


Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest ce jour-là

Et tu marchais souriante

Épanouie, ravie, ruisselante

Sous la pluie
Rappelle-toi Barbara
Il pleuvait sans cesse sur Brest

Et je t’ai croisé rue de Siam

Tu souriais
Et moi je souriais de même
Rappelle-toi Barbara

Toi que je ne connaissais pas

Toi qui ne me connaissais pas

Rappelle-toi

Rappelle-toi quand même ce jour-là

N’oublie pas

Un homme sous un porche s’abritait

Et il a crié ton nom Barbara
Et tu as couru vers lui sous la pluie
Ruisselante, ravie, épanouie
Et tu t’es jetée dans ses bras
Rappelle-toi cela Barbara

Et ne m’en veux pas si je te tutoie

Je dis tu à tous ceux que j’aime

Même si je ne les ai vu qu’une seule fois
Je dis tu à tous ceux qui s’aiment

Même si je ne les connais pas
Rappelle-toi Barbara

N’oublie pas

Cette pluie sage et heureuse

Sur ton visage heureux
Sur cette ville heureuse

Cette pluie sur la mer
Sur l’arsenal

Sur le bateau d’Ouessant

Oh Barbara

Quelle connerie la guerre

Qu’es-tu devenue maintenant

Sous cette pluie de fer
De feu d’acier de sang

Et celui qui te serrait dans ses bras

Amoureusement

Est-il mort disparu ou encore vivant
Oh Barbara

Il pleut sans cesse sur Brest

Comme il pleuvait avant
Mais ce n’est plus pareil et tout est abîmé
C’est une pluie de deuil, terrible et désolée

Ce n’est même plus l’orage
De fer d’acier et de sang

Tout simplement des nuages

Qui crèvent comme des chiens

Des chiens qui disparaissent

Au fil de l’eau sur Brest

Et vont pourrir au loin

Au loin, très loin de Brest

Dont il ne reste rien.


Jacques Prévert - da Paroles, 1946 / musica di Joseph Kosma, 1949

Les frères Jacques

Sunday, January 28, 2007

Dedica III: a Emanuele Luzzati, in mortem



Dedica III: a Emanuele Luzzati, in mortem

E così te ne sei andata d’inverno,

minuta e indifesa creatura dagli occhi limpidi.
Non avresti potuto lasciarci che in inverno,
perché chi se ne va in questa stagione
lo fa proprio come hai fatto tu, in punta di piedi.
Hai voluto ancora una volta richiamarci alle nostre disattenzioni,
a modo tuo, con la tua solita dolcezza,
andandotene così com’eri arrivata un giorno, timidamente,
sulla punta di quei tuoi piedini freddi e tremanti
che pure desideravano tanto conoscere il mondo.
Ma che ne sapevi tu, del mondo?
Tu che eri incapace di specchiarti in esso

se non sbirciandoci di traverso con quel tuo sguardo infantile;
forse nemmeno ti è mai piaciuto questo nostro mondo
abbandonato dalla bellezza, tu che quella bellezza l’avevi
............................................addosso umilmente,
che non cercavi consolazione né riparo, e il mondo stesso
dall’alto della tua visione incantata, senza pensarci due volte,
hai inondato d’amore
.

Per questo non ci lasci solo la bellezza, ma quel tuo sereno distacco
dal quale ammiccavi segretamente, quel candore del poeta bambino
che contempla con tale coraggio l’esistenza che a un suo solo sospiro,
al solo suo sguardo essa diventa improvvisamente mansueta.
Ora sorride felice il tuo fragile animo, e tu,
nel mondo di sogni
che con tenera dedizione ti sei modellato,
corri dietro agli sfavillanti arcobaleni
delle tue chiassose e vagheggianti figurine;

ravvivi con cura il rosa tenue delle vesti,
il celeste impalpabile degli ornamenti,

il rosso voluttuoso dei panneggi. E ridi e piangi con loro!
Così finalmente incomincia il viaggio che da tempo hai preparato,
e mentre tu saltelli raggiante, noi non possiamo che restarcene qua,appesantiti da inesorabili distrazioni.Da quando ci hai lasciati proseguiamo soli;ma guardando alla finestra,il paesaggio fuori ci sembra più sbiadito ora.